Eleonora Deiana Psicologa e Psicoterapeuta

Eleonora Deiana Psicologa e Psicoterapeuta

NELLA MENTE DEL BAMBINO PREMATURO

2021-09-08 16:02

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NELLA MENTE DEL BAMBINO PREMATURO

Viene da chiedere quale sia la struttura inconscia dei piccoli nati pretermine, come questi bambini possano pensare alle proprie sensazioni, alle proprie emozioni e ai propri pensieri. Secondo Meltzer (1993) la personalità di ogni individuo, in condizioni naturali, si sviluppa a partire dalla sofferenza psichica che viene contenuta ed elaborata, quando però questa non è contenibile ed elaborabile per la sua entità o le poche risorse, si possono sviluppare varie problematiche e disturbi, dovuti al tentativo di evacuazione della sofferenza che può comportare un arresto dello sviluppo. M. Klein (1963) descrive il bambino, fin dai primi giorni dopo la nascita come dotato di due strumenti per la costruzione del proprio mondo interno, l’introiezione e la proiezione che animano un continuo scambio tra interno ed esterno, dentro e fuori, sé e altro da sé, ciò che è cattivo viene proiettato e ciò che è buono viene introiettato per permettere al bambino di raggiungere il benessere. Alla luce di queste considerazioni viene da chiedere come i bambini del reparto di terapia intensiva neonatale (TIN), percepiscano ciò che accade loro, quali significati possano attribuire alle loro esperienze e quali fantasie, emozioni e stati d’animo possano essere stati suscitati dal brusco impatto anticipato con la realtà esterna.


Secondo Latmiral e Lomardo il concetto di mente è vasto: 


-può essere assimilata al cervello, in un’ottica psicobiologica e, in questo senso, la sua nascita può essere stabilita dall’attivazione dei circuiti neurobiologici; 


-può essere sinonimo di intelligenza, partendo da un’ottica cognitivista dove le capacità di astrazione e classificazione ne determinano la presenza.


-può riferirsi alle capacità di adattamento e risoluzione dei problemi (coping e problem solving) in un’ottica comportamentista; 


-da una visione psicoanalitica, il termine mente è utilizzato come sinonimo della capacità di attribuire un significato, in modo personale e soggettivo, alla propria esperienza del mondo, entrano quindi a far parte della nascita della mente, lo sviluppo delle fantasie inconsce e delle introiezioni immaginative della realtà. È dal corpo, secondo gli psicoanalisti, e dai suoi bisogni che si sviluppa una riflessione sul corpo stesso che diventa soggettiva (Latmiral, Lombardo, 2007).


Susan Isaacs (1948) ha indicato la nascita della fantasia inconscia all’inizio della vita neonatale, derivante dagli impulsi, dai bisogni e dalla loro soddisfazione istintuale. Per l’autrice kleiniana, queste fantasie primitive investono non solo il corpo del bambino, ma anche quello della madre come oggetto, in particolar modo in riferimento al suo seno. Uno studio di Latmiral e Lombardo (2007) si interroga relativamente alla presenza, nei piccoli neonati prematuri, di una capacità di elaborazione mentale che possa implicare una mente già formata e in grado di fronteggiare i compiti evolutivi, da subito.


Alcuni studi sulla vita fetale, compiuti attraverso supporti ecografici (A. Piontelli 1992, R. Negri 1994) hanno evidenziato come esista una continuità a livello comportamentale e temperamentale tra la vita postnatale e quella prenatale. Altri (Negri, 1994), hanno mostrato come, già a partire dalla diciassettesima settimana di età gestazionale, si riscontri in alcuni feti un particolare rapporto con la placenta e il cordone ombelicale, che li rende più disponibili di altri allo scambio con un oggetto. I neonati, già alla nascita, sono molto diversi tra loro sia nei comportamenti che nel temperamento, questo lascia presupporre che, a determinare queste precoci differenze sia, non solo il corredo genetico, ma anche la qualità delle esperienze prenatali e dell’esperienza della nascita. Bion (1962) parla di preconceptions, o protopensieri che derivano dall’attività protomentale che elabora le primissime frustrazioni, date da esperienze fisiologiche e sensoriali, che non sono ancora pensabili e devono essere evacuate nei confronti della madre, che ha il compito di contenerle ed esprimerle elaborate. Questi nuclei protomentali sono già in funzione durante le ultime settimane di gestazione e intervengono quando si verificano delle rotture nella continuità omeostatica della vita intrauterina. Di conseguenza, ogni piccolo neonato si affaccia alla vita con un proprio corredo di aspettative, generate dai nuclei protomentali, che attiveranno una specifica modalità di risposte della madre, sancendo la qualità delle primissime esperienze del mondo (Latmiral, Lombardo, 2007).


Anche per Gaddini (1980) lo sviluppo della mente del bambino si fonda quando, all’interno dell’utero, il piccolo inizia a mantenere in memoria i propri ritmi fisiologici, imparando così il proprio modo di funzionare. E' a partire da questo, attraverso l’attribuzione di significato, che costruisce i propri modelli di funzionamento mentale che inizialmente hanno carattere magico in quanto non spiegabili. Già negli anni ’40 Winnicott (1945) inizia a parlare dell’esperienza che i bambini hanno nel ventre materno quando non sono ancora in grado di collegare impulsi e sensazioni, se non per brevi momenti di consapevolezza. È solo a partire dagli ultimi mesi di gestazione e subito dopo la nascita, quando vengono per la prima volta avvertiti i bisogni istintuali e le cure materne, che il bambino inizia la propria integrazione. A supporto dell’ipotesi di uno sviluppo mentale già a partire dalla vita prenatale interviene anche la ricerca neurobiologica, che lo vede prerequisito necessario per far fronte all’evento della nascita (Damasio 1994; Mancia 1981).


Esaminando la nascita della mente del bambino, non può essere trascurato il ruolo rivestito in questa dalla madre, quest’ultima, rappresenta, in condizioni normali, "l’ambiente" dove il neonato, attraverso le cure e la rêverie (Bion, 1994), scopre la propria mente. In condizioni di prematurità l’ambiente che circonda il neonato durante le prime fasi, che possono anche durare alcuni mesi, è l’incubatrice, dove, il contenimento, la reciprocità, la personalizzazione, che avevano caratterizzato tutto il corso della gravidanza, vengono meno. Questo ambiente priva il bambino di un contenimento sia fisico che mentale che gli possa consentire di svilupparsi in modo attivo e spontaneo, esso si ritrova inerme di fronte alle continue sollecitazioni sia interne che esterne che vanno, date le precarie condizioni di salute, a minare la continuità della sua esistenza (Latmiral, Lombardo, 2007).


Secondo Spitz (1965) il neonato trasforma la relazione fisica parassitaria con la madre, instaurata nel suo ventre, in uno stato di fusione psicologica dopo la nascita. Per questo motivo, si trova in pericolo se viene bruscamente separato dalla madre, che ha la funzione di Io ausiliario, regola la sua esperienza, lo tranquillizza e lo protegge dalla valanga di stimoli che il bambino non è ancora in grado di gestire. Tra i due si sviluppa una sorta di dialogo che permette al piccolo di trasformare stimoli privi di significato, in segni dotati di senso.


Il bambino appare quindi sensibile al mondo che lo circonda già durante la vita intrauterina.


Quando questi piccoli si trovano ad affrontare la nascita, prima che il loro corpo e la loro mente siano preparate a questo evento, il continuum fusionale che il bambino sperimenta nell’utero, tutti i suoi bisogni sono placati ancora prima di essere sperimentati, cessa.


Per quanto i centri di terapia intensiva neonatale prestino molta attenzione alla cura di questi fragili neonati, essi vengono da subito a contatto con stimoli dolorosi, intrusivi e spesso traumatici; la scoperta spontanea e attiva dell’ambiente che il bambino compie nella sua onnipotenza e che sostiene una fiduciosa apertura verso le relazioni, è sostituita nella prematurità da un senso di passività e intrusione che spingono il bambino ad isolarsi per proteggersi dal “non-me” aggressivo, incalcolabile e disturbante.


Viene da chiedersi quale impatto questo incontro/scontro con la vita possa avere nello sviluppo della mente del bambino, cosa di quello che gli accade è memorizzato e metabolizzato, come possano sperimentare attese positive e rassicuranti verso il mondo dopo aver sperimentato tanta sofferenza, quando, secondo Winnicott (1989) “nulla di ciò che viene provato dall’essere umano viene perduto”.


In questi neonati il problema risulta essere non tanto la nascita della mente, ma quale mente possa nascere con questi presupposti (Latmiral, Lombardo, 2007). Caccia, nel libro Pensieri Prematuri (Latmiral, Lombardo, 2007), scrive: “Tutti gli eventi traumatici dovranno necessariamente essere metabolizzati, attraverso i processi inconsci di sogno della coppia madre bambino, nel ritmo delle proiezioni e delle introiezioni dopo la nascita.


Dalla riuscita di questo processo di smaltimento del trauma dipenderà in gran parte la salute mentale futura del bambino.”.